Fino a qualche tempo fa la digital library era considerata esclusivamente un “contenitore” di oggetti digitali ottenuti da campagne di digitalizzazione di materiali antichi. Un contenitore attraverso il quale conservarli e tutelarli, nonché renderli ricercabili attraverso sistemi di catalogazione specializzati in funzione della loro natura: libraria, museale, archivistica.
Alle collezioni digitalizzate, nel tempo, si sono affiancati materiali born digital prevalentemente di area accademica come tesi, prodotti della ricerca e altri documenti di natura scientifico-specialistica. Di recente, realtà istituzionali di tipologia diversa, hanno reso disponibile un’ampia gamma di nuovi materiali born digital. Sono video, podcast, audio, foto, pdf, ebook, … una vera e propria galassia di oggetti digitali diversissimi fra loro nei formati e nei contenuti. Si spazia delle lectio magistralis, ai podcast che approfondiscono tematiche scientifiche o che sono letture ad alta voce, dai convegni registrati nei canali YouTube o Facebook ai materiali didattici a supporto della scuola e dell’università, dalle locandine degli eventi ai video che propongono giochi per i bambini, ai contenuti realizzati per Instagram come le stories, i reels e la IGTV. Un’imponente quantità di nuovi materiali digitali che possono vivere di vita autonoma o essere complementari con quelli “classici” e che, in ogni caso, richiedono piattaforme idonee a salvaguardarli e valorizzarli. Piattaforme che superano i confini delle digital libraries “tradizionali”: spazi digitali che possono ospitare sia materiali digitalizzati che nativi facilitando l’incontro fra la produzione contemporanea e la memoria storica oppure essere aree dedicate alle sole risorse born digital.
Per realizzare queste nuove digital libraries occorrono strumenti come DSpace-GLAM (la digital library di 4Science), competenze di ambito scientifico e la capacità di costruire una progettazione in grado di “parlare” ai nostri pubblici.